Ha sorpreso l’enfasi
con la quale alcuni media umbri hanno trattato durante la Settimana
Santa, quando i cristiani
celebrano il mistero
della Croce,
la notizia della mancata rimozione del crocifisso dalle aule di una
scuola statale, “stimolando” nuove polemiche su una vicenda che
viene riproposta con periodicità anche in Umbria. E quando ciò
accade il pensiero va a quel passato che la società odierna non
merita più: alle lotte tra “anticlericali” e “clericali”
superate da tempo, anche per aver ammesso gli errori e chiesto scusa.
I media, pur mettendo in risalto la notizia del provvedimento
adottato dalla dirigenza scolastica nei confronti di un docente
contrario all’esposizione del crocifisso, di fatto hanno richiamato
l’attenzione sul simbolo per eccellenza della religione cristiana,
“causa” del provvedimento stesso, in un periodo dell’anno
vissuto con particolare intensità spirituale da numerosi credenti:
la rievocazione della Passione,
Morte e Risurrezione di
Cristo. E questo è avvenuto in un difficile momento internazionale,
che vede l’acuirsi delle persecuzioni contro chi professa la fede
cristiana in diverse parti del mondo, mentre papa Francesco si
appella alla comunità internazionale affinché «non resti inerte».
Il diritto all’informazione, sancito dall’articolo 21 della
Costituzione, è sacrosanto, ma perché enfatizzare una notizia?
Chi
scrive non vuole contestare delle scelte redazionali, che rispetta
pur non condividendole, ma richiamare l’attenzione sul fatto che il
simbolo per eccellenza della fede cristiana, prima di essere tale,
trasmette un messaggio-monito universale. Quale? Non commettere
violenza nei confronti di altri uomini fino ad ucciderli in croce,
come avveniva nell’Impero Romano. Tant’è vero che è Cristo il
primo ad insegnare i valori attraverso i quali l’uomo è posto oggi
al centro della società, mettendo in crisi il sistema di potere che
non considerava gli uomini tutti uguali. E questo Cristo è riuscito
a farlo nel momento in cui ha sacrificato se stesso per
riscattare-salvare, anche a livello sociale, i più deboli,
emarginati ed indifesi. Il crocifisso è anche simbolo per eccellenza
di sacrificio e condivisione delle sofferenze del prossimo. Il
crocifisso rappresenta quell’umanità che appartiene a tutto il
mondo.
I moniti a non commettere
violenza e a sacrificare la vita per la difesa della giustizia, che
giungono senza equivoci da quell’uomo messo in croce, raramente
vengono colti dai media nell’affrontare la questione “crocifisso
sì, crocifisso no”. Solo chi ignora la storia bimillenaria del
cristianesimo può pensare che se il suo simbolo viene esposto negli
edifici pubblici, non si ha rispetto delle persone di altre fedi
religiose o non credenti, mettendo così a repentaglio la laicità
dello Stato.
Sia consentita un’ultima
considerazione verso chi teme per le sorti dello Stato laico messo in
“pericolo” dai simboli e segni religiosi (inclusa la benedizione
nei luoghi pubblici). I difensori della laicità siano coerenti fino
in fondo, ad esempio si battano per lavorare nei giorni delle
festività religiose e riposare non la domenica. E’ una “posizione
forte”, che farebbe notizia su tutti i media. Riccardo Liguori - coordinatore Commissione
regionale per le comunicazioni
sociali della Ceu
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