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IL FORUM SOCIALE MONDIALE: "UN MOSAICO DI 100MILA PERSONE CHE HANNO COME OBIETTIVO LA DENUNCIA DELLE CAUSE CHE GENERANO TUTTE LE POVERTA'"   versione testuale

Un appello per la pace a Gaza, una pressione sul governo brasiliano per la salvaguardia dell’Amazzonia, e una serie di mobilitazioni per il G8, il G20, il vertice di Copenaghen sul clima, dove presentare le tante proposte emerse: queste le conclusioni del Forum sociale mondiale che si è chiuso domenica 1 febbraio a Belèm, dopo una grande assemblea che ha raccolto le sintesi dei vari gruppi.

«Il convenire di migliaia di giovani da varie parti del mondo – ha detto mons. Mario Paciello, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle fonti e membro di presidenza della Caritas italiana, alla guida della delegazione Caritas al Forum – non è un fenomeno da sottovalutare, anche se i mezzi di comunicazione, le istituzioni internazionali e i governi non vi danno tanta importanza». Il Forum, a suo avviso, «è come un mosaico: 100.000 persone, migliaia di incontri, che hanno come unico obiettivo la denuncia delle cause e dei sistemi che generano tutte le forme di povertà e di ingiustizia, di sfruttamento e di degrado del mondo globalizzato, ma mossi da principi e ideologie diverse, che si esprimono in modi e linguaggi diversi. È vero che i temi di fondo sono sempre gli stessi, ciò che conta è tenere viva e alta la voce, perché chi deve ascoltare, senta».

A proposito della presenza delle Chiese al Forum (centinaia di persone in rappresentanza di movimenti, associazioni, congregazioni religiose, le Caritas di tutto il mondo, la Chiesa brasiliana, ecc.) mons. Paciello ha auspicato, per il futuro, «una maggiore visibilità, anche per dire quali risposte di carità, solidarietà e volontariato si possono dare, mentre si lotta per la giustizia. Non una volta – ha precisato – mi è capitato di sentire critiche e attacchi alla Chiesa proprio da coloro che, vivendo tra i poveri, la rappresentano».

L’ultimo giorno a Belèm la delegazione Caritas ha visitato la favela di Guamà, dove vivono 60.000 persone in grave situazione di degrado, con punte di violenza impressionanti: le cinque suore del Pime (Pontificio istituto missioni estere) che qui vivono da una decina d’anni per un lavoro di pre-evangelizzazione e formazione, raccontano che solo nella loro via avvengono 3 o 4 aggressioni al giorno. “Zona vermelha”, la chiamano gli abitanti: “Zona rossa”. Le suore stesse sono state rapinate e duramente minacciate nei primi tempi della loro presenza a Guamà. «Hanno fatto inginocchiare una di noi, minacciandola con una pistola – ha raccontato suor Silvia, 72 anni, italiana –. Per fortuna non avevamo molti soldi in casa e non ci hanno fatto del male. Certo, la paura c’è sempre, ma noi cerchiamo di fare molta attenzione. Non indossiamo più nemmeno l’orologio».

Anche stavolta, come regola da queste parti quando nella favela entrano degli estranei, è stato solo grazie alle segnalazioni e all’aiuto degli abitanti della zona che si è riusciti a scongiurare un tentativo di rapina da parte di facinorosi, in attesa fuori dalla casa delle religiose.

«La visita alla favela mi ha molto impressionato, pur avendone viste di peggiori a Nairobi – ha commentato mons. Paciello –. Ci si rende conto, passando tra le case, che la miseria materiale è poca cosa, rispetto al degrado morale e spirituale, alla povertà culturale, allo spirito di violenza e di aggressione, al ricorso alla prostituzione come mezzo di sussistenza sin dall’adolescenza. È scioccante notare che non c’è porta o finestra senza un’inferriata. La gente continuava ad avvertirci di fare attenzione e ci invitava ad andare via per evitare di subire assalti». Purtroppo, ha concluso il vescovo, «i governi e le istituzioni sono ciechi e sordi davanti a questi lager di miseria». Per questo «la Chiesa non deve cessare di elevare la voce sempre più forte e ferma verso coloro che, a livello mondiale, hanno la responsabilità di intervenire».

Servizio a cura di Patrizia Caiffa, inviata «SIR» a Belèm, Brasile

Lunedì 16 Febbraio 2009