Home - opere segno - strutture di accoglienza - "IL CASOLARE" NELLA PARROCCHIA DI SANFATUCCHIO 

"IL CASOLARE" NELLA PARROCCHIA DI SANFATUCCHIO   versione testuale


IL PARROCO, DON REMO SERAFINI, PRESENTA QUEST’OPERA COME LUOGO IN CUI «L’ECONOMIA CRISTIANA E’ QUELLA DEL DONO. IL POCO CHE CIASCUNO PUO’ DONARE DIVENTA MOLTO, FINO A BASTARE ED AVANZARE NELLE MANI DI DIO»

 

Quando nel giugno 2003 si cominciò a parlare di dar vita, in una parte dell’ex azienda agraria Buitoni, posta nella parrocchia di Sanfatucchio di Castiglione del Lago, ad un’opera segno della Caritas diocesana di Perugia-Città della Pieve, io fui entusiasta. Questo progetto divenne preghiera a Dio per intercessione di Maria Santissima. Qualche giorno dopo andai, come tutti gli anni, pellegrino a Lourdes con il gruppo Unitalsi dell’Unità pastorale di Castiglione. Naturalmente con le Ave Maria e i Rosari, che recitavo ogni giorno, pregavo Nostra Signora di Lourdes, perché questo progetto si realizzasse, se era volontà di Dio.

Ero e sono tuttora entusiasta di questo progetto, specialmente perché si sarebbe inserito nella pastorale, che, in una maniera o nell’altra, cercavo e cerco ancora di realizzare nelle parrocchie che mi sono state affidate: la carità come servizio ai poveri e ai sofferenti, specialmente se svolto dai giovani.

Dal 1967, quando andai parroco a Sanfatucchio, si sono susseguiti diversi gruppi di giovani, per realizzare con loro esperienze forti di servizio nella carità. Di questi gruppi facevano parte anche ragazzi provenienti da altre parrocchie. Da Macchie veniva a Sanfatucchio, accompagnato da due stupendi pastori tedeschi, un ragazzone, Lucio Gatti (oggi sacerdote e direttore della Caritas diocesana perugina, n.d.r.), che cercava, ma non sempre ci riusciva, di concretizzare la sua naturale generosità. Iniziò a venire con noi, il sabato, dopo aver celebrato la preghiera dei vespri insieme, a ripulire Giustino e la sua casa. Giustino, al quale era stata da tempo amputata una gamba, era destinato a trascorrere la vita nel letto, dove lo trovavamo sempre immerso nella sporcizia… . Lucio guardava, ma non si decideva a rendersi utile, ad aiutarci a togliere, da quel letto sporco, il povero Giustino. “Guarda – dissi a Lucio –, se non pensi che Giustino è Gesù Cristo, tu le mani non gliele metterai addosso per toglierlo dal letto!”. Così si convinse e lo prese su, collocandolo sulla seggiola per essere lavato, sbarbato… e cambiato il letto. Dall’allora Lucio è stato sempre con noi, pronto a dare il suo aiuto. Quel giorno lo ha sempre considerato “il giorno della sua conversione alla carità e alla gratuità”.

E’ uno stile dell’essere Caritas fino in fondo, dello “sporcarsi le mani” per il prossimo, incarnato da tante altre persone (sacerdoti, religiosi e soprattutto laici) con esperienze altrettanto significative nell’abbracciare e farsi carico delle croci altrui. Tutte queste persone, nella nostra Umbria, stanno attuando questo stile di carità giorno dopo giorno, che caratterizza le realtà di accoglienza che da alcuni anni stanno sorgendo nelle nostre diocesi.

Sono proprio entusiasta del progetto dell’opera segno a Sanfatucchio, che tra il giugno e l’ottobre del 2003 mosse i suoi primi passi. Quando si seppe che dei ragazzi della Caritas diocesana sarebbero venuti ad abitare da noi, diversi, ma non molti, benpensanti si allarmarono e ne discutevano nei locali pubblici e in occasione di ritrovi…, finché una commissione venne ufficialmente da me parroco. Così venni a sapere in modo diretto i motivi dell’allarme e del turbamento: “sono drogati…, sono alcolizzati…, sono agli arresti domiciliari…, sono marocchini…”; di conseguenza: circolazione di droga…, malavita…, furti…, cattiva fama per il paese e il circondario… .

Risposi che io avevo fiducia in questa comunità e che la serietà è la loro caratteristica. Così raccomandavo che si avesse un po’ di pazienza e si giudicasse dai fatti, cioè dopo che sarebbero venuti. Ed è andata come prevedevo. Con il loro comportamento e il loro modo serio di vivere, i ragazzi si sono conquistati la fiducia di tutti; alcuni benpensanti, onestamente, hanno chiesto scusa al parroco.

Pochissime persone di Sanfatucchio si sono interessate personalmente a questa comunità, la quale, per chi viene a conoscenza in modo diretto è sicuramente sconvolgente e sprona a cambiar vita. Altre persone ne parlano, sono favorevoli alla presenza dei ragazzi, danno qualche aiuto concreto per la comunità, ma ne restano fuori. E questo a me parroco dispiace, anche perché c’è in parrocchia un certo coinvolgimento, da anni ormai, per le ospiti dell’Istituto “Villa Nazarena” di Pozzuolo Umbro e per i ragazzi dell’Istituto “Don Guanella” di Perugia.

Il responsabile della comunità Caritas di Sanfatucchio, denominata  “Il Casolare”, è Giovanni con la moglie Chiara. Si sono sposati nel 2004, dopo essere stati per diverso tempo in Kosovo, presso il Campo Caritas di Radullac. Hanno due figli: Francesco e Matteo. L’età dei componenti della comunità varia dai bambini ai cinquantenni. Vi sono italiani e immigrati, cattolici, cristiani ortodossi, musulmani e semplicemente non battezzati: persone che vogliono ritrovare se stesse e dare un senso alla vita. Non si tratta di una comunità di recupero, ma semplicemente per offrire ad aiutare a vivere una vita autentica nella scoperta e nella realizzazione del bene che ciascuno porta con sé.

Se qualcuno chiede con quale metodo si cerca di costruire se stessi, è presto detto: vita comunitaria, vissuta nella semplicità e nell’essenzialità, con momenti dedicati al lavoro e alla preghiera (Lodi, Vespri e S. Messa domenicale).

E la vita procede, nella comunità “Il Casolare” come nelle altre Case della Caritas, nello stile della gratuità e della provvidenza. Nessuno dei ragazzi e ragazze, e tanto meno i responsabili, sono retribuiti per quanto svolgono o producono con il lavoro. Nessuno paga rette o contributi per vivere nelle comunità di accoglienza. Non si prendono e non si ricevono contributi o sussidi. Tutto è gratuità e provvidenza.

“L’economia cristiana è quella del dono. Dio moltiplica ciò che si dona. Il poco che ciascuno può donare diventa molto, fino a bastare ed avanzare nelle mani di Dio” (don Oscar Battaglia, commento al Vangelo della X domenica del Tempo Ordinario, anno C). Dio lascia a noi il compito di distribuirlo: come i cinque pani e i due pesci, donati dal ragazzo, nelle mani di Gesù si moltiplicano - agli apostoli è dato il compito di distribuirli -; sfamano diecimila persone e ne avanzano dodici ceste piene.

Di questa vita, che si conduce e si realizza nella comunità “Il Casolare” di Sanfatucchio, come nelle altre Case di accoglienza della Caritas diocesana e regionale, sono testimone ed entusiasta, perché cerco di viverla anch’io, tenendo presente che sono parroco anche di Gioiella, che comprende le due ex parrocchie di Badia e Porto, e padre spirituale del Seminario regionale di Assisi, dove mi trovo, ogni settimana, dal martedì a pranzo fino alla tarda mattinata di venerdì. Quando sono in parrocchia mi resta difficile non essere tra i ragazzi della comunità nei loro momenti di preghiera e di lavoro: mi coinvolgo con loro e offro loro la mia esperienza, a volte anche intima e personale. E dalle domande che mi rivolgono sento che sono interessati a me, che sono uno di loro e mi vogliono bene. Altre volte mi trovo con i ragazzi quando sono riuniti per discutere qualche problema ed io resto silenzioso e discreto; ascolto singolarmente qualcuno per realizzare qualcosa di bene per loro.

Alcuni ragazzi che giungono in comunità per cercare di vivere lo stile di vita offerto, dopo poche settimane escono e tornano a quella “vita”, che conduce spesso alla morte. Altri lasciano la comunità dopo diversi mesi o anni e, in un certo qual modo, “si rifanno una vita”, come si dice. Altri ragazzi non battezzati, invece, scoprono la fede e chiedono di farsi cristiani. Altri ancora riscoprono la fede della loro fanciullezza e la praticano con consapevolezza.

Sono questi i ragazzi e le ragazze che abbracciano e realizzano la vita nella povertà della provvidenza e nella gratuità del dono di sé agli altri. Alcuni di loro - e sono i più - restano nella comunità come servizio nella carità. Altri intravedono la vocazione allo stato religioso: uno o due all’anno chiedono di entrare in Seminario. Alcuni sono già sacerdoti nelle Diocesi umbre o altrove, anche in Perù e in Ecuador con l’Operazione Mato Grosso (OMG). Alcune ragazze, invece, scelgono di essere monache di clausura.

Tutto questo è “Il Casolare” di Sanfatucchio, una delle grazie più gradite e più preziose, che Gesù Cristo ha disseminato, per intercessione di Maria Santissima, Nostra Signora di Lourdes e di Santa Bernadette.

Don Remo Serafini

 
Martedì 17 Giugno 2008