versione accessibile
Ricerca nel sito
Cerca
 Home - approfondimenti news - RIFLESSIONI SULLA SECONDA ENCICLICA DI BENEDETTO XVI 

RIFLESSIONI SULLA SECONDA ENCICLICA "SPE SALVI" DI BENEDETTO XVI
SCOPRIRSI POVERI SENZA PAROLE DI FRONTE ALLA SPERANZA?   versione testuale

Di speranza se ne parla spesso; a proposito di fatti importanti come il domani, i giovani, la casa e di meno importanti come il tempo per il fine settimana. Talvolta, se ne parla anche in chiesa, spiegando che è una virtù teologale, accanto alla fede e alla carità. Eppure non se ne parla abbastanza o, meglio, non se ne parla bene.

Benedetto XVI ha dedicato la sua seconda Enciclica alla speranza, a meno di due anni da quella sulla carità. Nota che siamo poveri di speranza, perché ci siamo abituati alle cose più straordinarie. "Ab assuetis non fit passio" . Le cose vissute per abitudine non danno alcuna emozione, dicevano i teologi scolastici. "Per noi - scrive il Papa - che viviamo da sempre con il concetto cristiano di Dio e ci siamo assuefatti ad esso, il possesso della speranza, che proviene dall'incontro reale con questo Dio, quasi non è più percepibile" (n.3).
Per questo ci scopriamo poveri di speranza e, di conseguenza, possiamo donarne poca. La nostra situazione non è molto diversa da quella degli inizi del cristianesimo; a quel tempo l'apostolo Paolo invitava i primi credenti a distinguersi dagli altri, i quali vivevano senza speranza. Nonostante il mondo romano avesse una religione di stato, fatta di riti e di cerimonie, era diffuso lo scoraggiamento per la sorte dell'uomo: proveniamo dal nulla e presto ricadiamo nel nulla. San Paolo proprio davanti alla bocca della morte pone la speranza: "Non vogliamo poi lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza".
La speranza cristiana mantiene aperto l'orizzonte sull'aldilà, nella consapevolezza che il cielo non è vuoto! Qui sta il nucleo di tutto: la salvezza operata da Cristo non è stata simile alla liberazione di Spartaco o di altri rivoluzionari della storia; è stata la riapertura del cielo, la nuova vicinanza di Dio. Purtroppo, se Dio nel suo Figlio ha riaperto la porta di casa, l'uomo ha preferito guardare altrove. Non si tratta, semplicemente, dell'esperienza del peccato personale, mediante il quale ciascuno cammina curvo sulla terra, anziché ritto verso l'alto.

Si tratta di un autentico peccato storico, che ha segnato la modernità. Da alcuni secoli si è percepito che la salvezza dell'uomo non provenga da Dio, ma dalla scienza e dalla prassi. Il progresso, che ha portato tanto bene all'umanità, anziché essere considerato come una partecipazione alla sapienza e alla provvidenza divine, ha preso il posto di Dio stesso. Non si è persa la fede, ma solo si è ritenuta che debba essere vissuta sul piano individuale e, pertanto, irrilevante per il mondo.

"Questa visione programmatica - afferma Benedetto XVI - ha determinato il cammino dei tempi moderni e influenza pure l'attuale crisi della fede che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristiana" (n.17). Al Regno di Dio è subentrato il regno dell'uomo, cioè, l'uomo è stato posto al di sopra di tutto, unico criterio della storia. Con il risultato di condannarsi alla solitudine e alla disperazione. Sì, perché, se l'uomo è solo, in che cosa può davvero sperare? Il Papa nota che nella vita di ciascuno ci sono due speranze fondamentali: quella giovanile del "grande amore" - di essere amati per tutta la vita - e quella di raggiungere una certa posizione. Speranze nobili, ma una volta raggiunte, l'uomo sente di dovere sperare ancora qualcosa d'altro. L'esperienza e i risultati di secoli di fiducia mal riposta nella scienza mostrano che nell'uomo c'è un'attesa di qualcosa di più.

Urge, dunque, parlare della speranza cristiana, che è "una speranza affidabile". Con questa "noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino" (n.1). Occorre mettere al centro la vita eterna, che non è una distrazione dal presente o - come ha insinuato il marxismo - un'alienazione dei popoli. Al contrario è la meta, che stabilisce e dà valore al sentiero, che bisogna percorrere. Nell'Enciclica il Papa ricorda come sia faticosa la ricerca di retti ordinamenti per le cose umane e come questo, lungi dall'essere risolto una volta per tutte, resta il compito inedito di ogni generazione.
Nello stesso tempo, non si può più a lungo misconoscere il desiderio del cuore dell'uomo: "Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte" (n.12). Neanche può essere umiliata l'intuizione umana fondamentale: "Sappiamo, che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti" (n.11).
"Spe salvi" costituisce un testo che si alza oltre il momento presente e guarda la storia: dichiara i fallimenti di falsi pensatori, aiuta a liberarsi dei loro sbagli e indica una pagina nuova da scrivere.

Marco Doldi

 
Copyright WebRegioni 2008 - Credits