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  27/06/2008 13:47

MONTELEONE D’ORVIETO HA IL SUO MUSEO PARROCCHIALE


Monteleone d’Orvieto, e dificato intorno alla metà del secolo XI dagli orvietani che si preparavano a fortificare i loro possedimenti, fu un castello dipendente dall’importante comune di Orvieto e, spesso, ne seguì le vicende storiche. Il nome fu un atto di omaggio al pontefice del tempo, Leone IX, amico e protettore di Orvieto. Oggi Monteleone fa parte dell’Archidiocesi metropolitana di Perugia-Città della Pieve per il suo passaggio, avvenuto nel XVII secolo, dall’antica diocesi di Chiusi alla seicentesca di Città della Pieve. Quest’ultima è stata unificata all’Archidiocesi di Perugia nel 1986. La chiesa madre di Monteleone, intitolata agli apostoli Pietro e Paolo, suoi santi patroni, ha origini molto antiche: costruita al centro dell’originario nucleo fortificato sorse, probabilmente, contemporaneamente alla nascita del castello (sec. XI). Numerose sono le opere d’arte presenti nelle varie chiese di Monteleone, ad iniziare da quelle della stessa chiesa madre, che fin dalla prima metà degli anni ’70 del secolo scorso, grazie alla sensibilità del parroco dell’epoca, don Alvaro Rossi, si iniziò a pensare di custodirle in un unico luogo, sia per essere più facilmente fruibili che per una loro migliore conservazione e salvaguardia anche da alcuni tentativi di furto. Così iniziò la raccolta e, in collaborazione con la locale “Pro Loco” e con l’aiuto di alcuni volontari, fu realizzata una prima esposizione rimasta tale per lunghi anni perché il progetto di un vero e proprio museo era alquanto arduo. Oggi, finalmente, il “sogno” di don Rossi si concretizza: sabato pomeriggio 28 giugno sarà inaugurato ufficiale il Museo parrocchiale di Monteleone, ubicato nella chiesa di Sant’Antonio da Padova. Tre i momenti significativi dell’evento: la S. Messa (ore 17) presieduta dall’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti; la presentazione del percorso museale (ore 18); l’apertura ufficiale al pubblico (ore 18.30). Presenti all’inaugurazione autorità civili e religiose e rappresentanti del mondo della cultura. La realizzazione del Museo è opera dell’attuale parroco, don Marco Merlini, che fin dal suo arrivo (2004) ha avuto la felice idea di riprendere il progetto. Incoraggiato dall’arcivescovo mons. Chiaretti nel sostenerlo moralmente e materialmente, don Merlini è riuscito a realizzare un luogo straordinariamente importante per la cultura della comunità di Monteleone. «Le opere che vi sono esposte – spiega Alessandra Tiroli, storica dell’Arte presso la Soprintendenza ai Beni culturali dell’Umbria – raccontano secoli di storia del paese e portano indietro nel tempo facendo riaffiorare la memoria di luoghi scomparsi, di ambienti modificati, di eventi che dimostrano l’importanza che ha avuto la Chiesa di Monteleone nel contesto storico della diocesi di Città della Pieve. La sua peculiarità è quella di essere un documento, un libro che si apre al visitatore e racconta, dietro ad ogni oggetto esposto, un frammento della storia dell’antica comunità di Monteleone». LA COLLEZIONE DEL MUSEO PARROCCHIALE DI MONTELEONE D’ORVIETO (A CURA DI ALESSANDRA TIROLI) La collezione ospita oggetti e dipinti di grande pregio e valore storico ed artistico. Tra le tele si segnala l’interessante Ultima Cena che, come si legge nell’iscrizione riportata sul foglio qui raffigurato, è datata 1639 e firmata da Ottavio Petrelli di Città della Pieve. Il dipinto nella sua impostazione classicista e nella salda organizzazione centrale, non del tutto scevro da contaminazioni barocche e carvaggesche, denuncia una forte dipendenza dai correnti modelli accademici. La composta concitazione dei dodici sottolinea che il Cristo ha appena pronunciato la fatidica frase "uno di voi mi tradirà": Pietro interroga il maestro e gli altri apostoli si guardano stupiti, Giovanni è addormentato sul braccio di Gesù e Guida, in primo piano, malinconicamente mostra la borsa coi denari. La mensa è ormai quadrata e i commensali sono disposti teatralmente a semicerchio lasciando libero il primo piano che mostra l'agnello sacrificato e quello da sacrificare; sulla quinta due servitori animano la scena: molto forte è il senso dell'attesa. Più o meno dello stesso periodo è la Crocifissione tra santi , ricostruzione storica (per la presenza della Maddalena, dell’Addolorata e di san Giovanni) e, al contempo, immagine devozionale (per l’aggiunta dei santi Nicola di Bari e Carlo Borromeo –canonizzato da pochi anni, nel 1610-). Il clima è più popolareggiante, anche se si nota una buona traduzione dei modelli dominanti nei centri artistici maggiori. I forti chiaroscuri indicano che il pittore si servì di modelli a stampa che ben evidenziavano i neri delle ombreggiature. Più sensibile alle suggestioni caravaggesche risulta essere il pittore del Francescano che adora l’Eucarestia . Forse si è voluto ritrarre Pasquale di Baylon, morto nel 1592, beatificato nel 1618 e canonizzato nel 1690, noto col nome di "serafino dell'Eucarestia". Le condizioni della tela sono pessime, tanto che non è possibile distinguere nemmeso l'aureola . Al tardo Seicento o ai primi del Settecento appartiene la tela con le Stimmate di san Francesco , già attestata in loco nel 1733. Il nuovo ruolo assunto dalla pittura di paesaggio che ebbe una buona tradizione anche a Perugia e nell’intera Umbria, trova qui un’esatta e felice interpretazione. Le due tele con l’ Annunciazione e i dipinti con Sant’Antonio di Padova e la Decollazione del Battista (queste ultime documentate a Monteleone già dal 1733) parlano lo stesso linguaggio accademico diffusosi a cavallo tra il XVII e XVIII secolo: la grazia dei gesti e delle movenze che si ritrovano anche nel sicario, i volti in piena luce e le ombre che nette si stagliano nella parte laterale del viso, l’atteggiamento dei panneggi potrebbero denunciare una medesima paternità. La donna coronata di stelle e vestita di sole, identificata con la Vergine, ha la luna sotto i suoi piedi e schiaccia il serpente che già aveva tentato Eva. Nuova madre, con la sua Immacolata concezione sconfigge il demonio. Il soggetto, largamente promosso dalla chiesa controriformata secentesca, ebbe una grande rispondenza artistica. L’acuto Ritratto di Pio V (1566-1572) al secolo Antonio Michele Ghisleri, papa che si impegnò in una solerte riedificazione spirituale e con ferrea volontà impose l’applicazione dei decreti emanati del concilio tridentino è da collocarsi dopo il 1712, data della sua canonizzazione, e da mettersi in relazione con l’intitolazione, proprio in questi anni, di una cappella all’interno della collegiata, precedentemente dedicata a Sant’Isidoro. La piccola tela raffigurante la Madonna del Buon Consiglio si presenta con la consueta iconografia della Madonna della dolcezza che stringe teneramente il Dio incarnato. La sua datazione, 1755, strettamente legata agli anni dell’intitolazione di una cappella nella chiesa del Crocifisso a tale culto, è da connettersi con l’enorme fortuna della devozione di Maria in questa forma, spiccatamente popolare, che si ebbe nel secolo XVIII. Chiudono la serie dei dipinti due interessantissimi ex voto realizzati "per grazia ricevuta" nel 1645, dopo la scampata uccisione di alcuni monteleonesi da parte di "sbirri" senesi, e nel 1667, quando a seguito di un crollo, alcuni paesani hanno salva la vita grazie all’intercessione di tre santi. Il pittore, in tono alquanto didascalico, ha ritratto con occhio attento nel primo, la periferia con la chiesa extra urbana del Santissimo Crocifisso e, nel secondo, le vie del castello presumibilmente nei pressi della chiesa di Sant’Antonio, fornendo due interessanti immagini della situazione topografica secentesca di Monteleone. Come negli antichi gonfaloni i luoghi e i fatti dovevano esser perfettamente riconoscibili e identificabili; l’oggetto era strettamente legato all’evento, storico e miracoloso. Un prezioso Bozzetto di Guglielmo Ascanio realizzato nel 1927 racconta dei lavori apprestati alla collegiata all’inizio del secolo scorso, quando la cripta che ospitava il corpo di san Teodoro, soldato martire cristiano del III-IV secolo, venne interamente decorata. Nella cripta è raffigurato anche sant’Emidio, vescovo di Ascoli e guaritore di infermi, divenuto protettore contro i terremoti a seguito di un violento sisma che nel 1703 sconvolse le Marche ma che risparmiò la città picena. A Monteleone, il 9 maggio 1861 una terribile scossa provocò molti crolli ma nessun morto. La statua in gesso qui esposta è memore del culto ancora vivo nei confronti di questa santo. Calici del Seicento (tra i quali quello preziosissimo, datato 1606, e firmato da Striscia Lattanzio e quello del 1688); del Settecento (pregiato è quello con data 1723 recante uno stemma e una dedica) e Ottocento; preziosi busti reliquiari della prima metà del Settecento in legno dorato; ostensori, reliquiari, candelabri, croci da mensa, incensieri e soprattutto la preziosa muta di paramenti sacri in seta damascata con ricami a fiorami in filo di seta, d’oro e d’argento del XVIII secolo, danno lustro alla piccola raccolta e illustrano, inequivocabilmente la ricchezza e la potenza del priorato di Monteleone nel corso dei secoli.



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