La
seconda giornata del laboratorio “Dalla solidarietà alla
fraternità: identità, estraneità e relazioni per un nuovo
umanesimo”, in corso di svolgimento a Perugia (7-9 maggio), è
stata dedicata ad un'analisi antropologica della pace alla luce delle
specificità delle tre religioni monoteiste. Il dialogo
interreligioso rappresenta un elemento strategico per la costruzione
di relazioni di pace, che non sono proprie solo degli addetti ai
lavori ma di tutti i credenti. Da questo presupposto si è sviluppata
la riflessione sul ruolo che le religioni monoteiste, accomunate
dalla stessa radice abramitica, possono avere nel cammino di pace e
di accoglienza dell'altro e delle sue diversità. Il monoteismo è
per sua natura attraversato dall'alterità e dall'apertura all'altro. Ad
aprire i lavori mons. Domenico Cancian, vescovo di Città di Castello
e delegato della Conferenza episcopale umbra (Ceu) al Convegno
ecclesiale nazionale di Firenze (9-13 novembre 2015), che ha
sottolineato l'elemento fondamentale della fraternità per la
costruzione di un'antropologia di pace con se stessi, con Dio e con
il mondo, che si manifesta «in un uscire da sé verso un'umanità
nuova».
«L'incontro
esistenziale con l'unico Dio è il primo passo – ha detto Cancian
–. Credendo in Dio l'uomo diventa a sua somiglianza, ricreato a
immagine di Cristo. Uscire, lasciare tutto è la condizione che porta
dalla schiavitù alla libertà e permette di vedere la vita
nell'ottica dell'eterno. Un nuovo umanesimo si delinea in un percorso
diverso da quello circoscritto dal limite del peccato, nel quale
l'uomo si lascia illuminare da Dio. Una sorta di esodo dall'egoismo
verso quell'amore, che Cristo è venuto ad insegnarci e testimoniare:
“amatevi come io vi ho amato” è il comandamento che cambia il
mondo. La fede è così finalizzata alla carità e alle opere della
carità, dinamica creativa dell'amore».
Un
ultimo passaggio mons. Cancian lo ha riservato alla misericordia
divina, altro elemento che accomuna le tre religioni: «Nell'amore
misericordioso, Dio e l'uomo s'incontrano in modo straordinario e
unico, e in questo si esplicita la fraternità fondata nella
figliolanza. La misericordia è la via che unisce Dio all'uomo, che
apre alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite
del nostro peccato».
Fede,
pace e fraternità hanno sostegno nell'esperienza del dono fino alla
disponibilità totale della propria vita, è stato il senso
dell'intervento di mons. Piero Coda, ordinario di Teologia
sistematica all’Istituto Universitario Sophia di Firenze: «la
prassi di pace è prassi di libertà dell'amore. La fede e la prassi
di pace sono quindi risposta di libertà e di amore, di chi crede in
un Dio. Viene allora abbattuto ogni muro di divisione e inimicizia;
il nemico non ha diritto di cittadinanza nel pensiero del discepolo
di Dio, di chi ha fede nel Dio unico». «La
fraternità nasce solo dal farsi ultimo, nello stare con gli scartati
– ha concluso Coda –. Per dare ali ad una antropologia di pace è
necessario vivere la fraternità fra noi come comandamento liberante
di Dio. Di fronte alle situazioni globalizzate della società che
provoca riflussi sociali, intollerabili situazioni di sofferenza e di
miseria, è necessario un salto di qualità per entrare nella via di
una vera cultura dell'incontro». Ai
lavori della mattinata hanno portato il loro contributo anche Andrane
Mokrani del Pontificio istituto di studi arabi e islamici e Brunetto
Salvarani, docente di Teologia della missione e del dialogo presso la
Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna.
I
lavori pomeridiani hanno affrontato due tematiche centrali: “Epifania
dell’altro e di svilimento del Sé” e “Etica ed economia:la
ferita dell’altro”. I lavori di questo secondo tema sono stati
introdotti e moderati da Simone Poledrini, dell’Università di
Perugia, caratterizzati dagli interventi di Emmanuel Gabellieri,
dell’Università Cattolica di Lione, Alain Caillé, dell’Università
di Parigi X, e Luigino Bruni, dell’Università Lumsa.
Padre
Giulio Michelini, dell’Istituto Teologico di Assisi, ha introdotto
e moderato i lavori sul tema “Epifania dell’altro e di svilimento
del Sé” e presentato i relatori Maria Clara Bingemer, Paulo
Fernando De Andrade, entrambi della Pontificia Università Cattolica
di Rio de Janeiro, e Roberto Repole, presidente dell’Associazione
Teologica Italiana. Lo stesso padre Michelini ha sottolineato
l’esperienza concreta del “dono” verso l’altro che
contribuisce a originare “reciprocità” in ambito ecumenico e
interreligioso, che la città di Perugia vive ininterrottamente da
oltre mezzo secolo, dagli anni del Concilio Vaticano II. Si tratta
del Centro ecumenico ed universitario “San Martino”, un luogo di
incontro-scuola di formazione al dialogo voluto da un gruppo di
studenti seguito da mons. Elio Bromuri, noto teologo ed esperto di
ecumenismo. Questo gruppo fu da subito incoraggiato e sostenuto nella
sua opera di dialogo dalla Chiesa perugina, in primis dai
suoi vescovi, fino a diventare punto di riferimento per le iniziative
ecumeniche ed interreligiose promosse dalla stessa Archidiocesi negli
ultimi cinquanta anni. Non secondaria alla sua finalità è la
collaborazione con i due Atenei perugini: l’Università degli Studi
e l’Università per Stranieri. Su sollecito dello stesso “San
Martino”, nel 1974, è nata un’opera sociale di sostegno al
dialogo rispondente ai bisogni primari di assistenza ai giovani di
altre culture e religioni: il “Centro internazionale di accoglienza
per la gioventù - Ostello”, ubicato in pieno centro storico. Si
tratta di una realtà tutt’oggi attiva con un centinaio di posti
letto per i pernottamenti, sale di lettura e di riunione, una
biblioteca e una cucina a servizio degli ospiti, un sostegno concreto
al dialogo con gli “altri”. Com.
stampa a cura di Elisabetta Lomoro /
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