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  13/01/2015 13:14


A dieci anni dalla morte dell’“inventore” della Giornata per la Vita, il vescovo umbro mons. Pietro Fiordelli. Un libro ricorda la sua azione pastorale



Lo scorso 23 dicembre era il decimo anniversario della morte di un vescovo umbro un po’ dimenticato. In realtà per l'occasione è stata aperta anche una pagina facebook, “Mons. Fiordelli e la difesa sociale della famiglia” ma, di quel Pietro Fiordelli (1916-2004) che, nel 1979, ha “inventato” la Giornata per la vita (il prossimo 1° febbraio si terrà la 37ma edizione nazionale), pochi si ricordano oggi (Andrea Tornielli ha fatto eccezione con un recente articolo).

Il giornalista Giulio Lizzi ha intervistato Giuseppe Brienza, l’autore del libro sulla pastorale di mons. Fiordelli.

IL LIBRO

La figura del vescovo umbro è ricordata nell’ultimo libro di Giuseppe Brienza, La difesa sociale della famiglia. Diritto naturale e dottrina cristiana nella pastorale di Pietro Fiordelli, Vescovo di Prato (con Invito alla lettura di Mons. Luigi Negri, Postfazione di Antonio Livi, Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014, pp. 161, 15). Gli abbiamo rivolto alcune domande

D. Ci puoi inquadrare innanzitutto, dal punto di vista biografico, la figura del Vescovo Fiordelli?

R. Questa straordinaria figura di sacerdote nasce il 9 gennaio 1916 a Città di Castello, quarto di cinque fratelli. A 6 anni Fiordelli è avviato agli studi primari nella stessa città, frequentando la Scuola elementare fondata dal vescovo Carlo Liviero. Il 4 ottobre 1927 fa’ ingresso nel Seminario di Città di Castello e, 5 anni dopo, nell’ottobre 1932, è inviato da mons. Liviero a Roma, come alunno del Pontificio Seminario Romano Maggiore. A soli 22 anni è quindi ordinato sacerdote a Roma e, dopo aver concluso gli studi filosofici e teologici nel Laterano, è incardinato nella diocesi di Città di Castello, allora guidata da mons. Filippo Maria Cipriani. Dal suo vescovo Don Fiordelli è incaricato di numerose attività, fra cui quella d’insegnante di religione al liceo classico di Città di Castello, di assistente della locale sezione di Azione Cattolica e, infine, di direttore spirituale nel Seminario diocesano. Dopo 16 anni di un così attivo ministero, è quindi nominato da Pio XII, vescovo di Prato, ricevendo la consacrazione episcopale nel 1954, cioè a soli 38 anni.

D. Nel tuo libro rievochi episodi della vita della Chiesa e del movimento cattolico italiano in difesa della famiglia e della vita negli anni 1950-’70. Quali in particolare hanno visto protagonista il Vescovo di Prato?

R. Molti episodi e passaggi storici. Inizio a menzionare in ordine d’importanza l’impegno di mons. Fiordelli al Concilio Vaticano II e, in particolare, la sua “primogenitura” nella definizione, accolta nel testo della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, della comunione coniugale sacramentale come Chiesa domestica o piccola Chiesa. Nei suoi quasi quarant’anni di episcopato, non è mai mancata la sua attenzione davvero particolare alla coltivazione e diffusione della spiritualità, laicale e familiare, tanto che chi lo conobbe ne parla ancora oggi come il “padre” della pastorale familiare in Italia. Come non ricordare, ad esempio, come Fiordelli si spese fin dall'inizio del suo episcopato a Prato per introdurre, e poi diffondere su larga scala, i corsi di preparazione al matrimonio? Cammini di formazione, cioè, che sapessero promuovere, soprattutto nei più giovani, la consapevolezza dell'importanza del vincolo sacramentale e della chiamata soprannaturale al matrimonio. Ancora, sempre su sua proposta la CEI ha costituito il “Comitato Episcopale per la Famiglia”, oggi Commissione Episcopale per la famiglia e la vita, del quale il Vescovo è stato Presidente per diversi mandati consecutivi.

D. Dopo quanto detto, com’è possibile che Fiordelli sia ancora considerato da molti solo come il Vescovo che, negli anni Cinquanta, ha “scomunicato” i due giovani sposati solo civilmente?

R. Purtroppo va detto che, sul “caso Fiordelli” come su molti altri del resto, la disinformazione storica che ancora dobbiamo subire nel nostro Paese, è dovuta in parte all’egemonia culturale degli eredi del comunismo e del pensiero laicista, in parte al conformismo ed alla pigrizia di non pochi giornalisti e storici cattolici. Ti riferisci, evidentemente, alla vicenda di Mauro Bellandi e Loriana Nunziati che, nell’agosto 1956, si sposano in Comune nonostante entrambi battezzati e che, rimangono ancora oggi, nell’immaginario collettivo e nella storia come i «Concubini di Prato». Prima di tutto non va dimenticato, che quel loro gesto, per l’epoca, era rarissimo e, quindi, assunse un significato dirompente. Lui, del resto era un acceso militante comunista e, come la sposa Loriana ha ricordato pochi anni prima di morire, fu il PCI ad organizzare in pratica tutta la vicenda.

D. Ma il Vescovo Fiordelli quale ruolo assunse in quei frangenti?

R. Quello che, ciascun pastore al suo posto, avrebbe dovuto assumere, secondo la propria coscienza ed il diritto canonico. Nello stesso giorno del matrimonio civile, infatti, chiese al parroco degli sposi, don Danilo Aiazzi, di leggere nella chiesa della quale i due erano “parrocchiani” una notificazione nella quale, ricordando che l’unico matrimonio possibile per due battezzati è quello sacramentale, dichiarava di dover considerare i due sposi «pubblici concubini e pubblici peccatori». La notifica, che utilizzava la terminologia canonica, provocò la querela da parte dei due sposi, per il reato di diffamazione, anche per la sua avvenuta pubblicazione sul bollettino parrocchiale. (la versione integrale dell'intervista)

 

Giulio Lizzi


Allegato:
Intervista su Mons Fiordelli 37 Giornata per la vita (a cura di G Lizzi) - Formiche net.docx


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