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  21/03/2019 16:54

CELEBRATA A NORCIA LA MEMORIA LITURGICA DI S. BENEDETTO. L’ARCIVESCOVO: «…DAL GENIO DI BENEDETTO DOBBIAMO IMPARARE SEMPRE DI NUOVO A “EDIFICARE”… PERCHé QUESTE VALLATE, QUESTA GENTE VUOLE VIVERE! NON VUOLE ESSERE ACCOMPAGNATA DOLCEMENTE ALLA MORTE, CHE SI MANIFESTA NELLO SPOPOLAMENTO DELLE FRAZIONI, NELLA PRECARIETà DEL LAVORO ECC…».


Per il terzo anno consecutivo la festa liturgica di S. Benedetto, il 21 marzo, è stata celebrata nella centrale piazza di Norcia, di fianco alla basilica natale del Patrono d’Europa sbriciolatasi a causa della violenta scossa di terremoto del 30 ottobre 2016 e dinanzi alla statua in marmo del padre del monachesimo occidentale rimasta invece integra. La liturgia eucaristica è stata presieduta dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo e concelebrata da don Marco Rufini arciprete di Norcia, don Luciano Avenati parroco dell’Abbazia di S. Eutizio in Preci, don Davide Tononi parroco in solido di Norcia e dagli altri presbiteri che svolgono il loro servizio nella terra di Benedetto. Hanno assistito alla celebrazione quattro monaci benedettini di Norcia, tra cui il priore padre Benedetto Nivakoff. Nutrita la presenza delle autorità civili e militari, tra cui il presidente della Giunta regionale dell’Umbria Catiuscia Marini, il sindaco di Norcia Nicola Alemanno, quello di Spoleto Umberto de Augustinis e altri primi cittadini del territorio. Prima della Messa c’è stato il Corteo storico di S. Benedetto, riproposto per intero dopo i terremoti del 2016: rappresentanti delle Guaite della Città e dei Castelli (le attuali frazioni) di Norcia hanno reso omaggio, in abiti tradizionali, alle autorità religiose e civili e hanno reso omaggio a S. Benedetto con l’offerta di un cero. Molti i fedeli che si sono riuniti in preghiera e che hanno chiesto a S. Benedetto di continuare a parlare al cuore delle persone della Valnerina ferite dai sismi del 2016, di ricordare che la vita è un dono e un impegno nonostante le sofferenze causate dal terremoto e da una ricostruzione che procede a rilento. Presente anche una delegazione della Polonia, Paese dove quest’anno (28 febbraio – 4 marzo) la terra di S. Benedetto, ossia le comunità di Norcia, Subiaco e Cassino, hanno portato la “ Fiaccola benedettina pro pace et Europa una ”. Il primo pensiero dell’omelia di mons. Boccardo è stato per l’Europa «aggredita dal cancro dei populismi e dei nazionalismi sempre risorgenti. L’insegnamento e la testimo­nian­za di S. Benedetto hanno cementato nel nostro Continente quell’unità spirituale in for­za della quale genti divise sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costi­tui­re un unico popolo. Oggi però, mentre si procede sulla strada della globalizzazione - cioè del­l’unificazione virtuale, culturale, economico-finanziaria - dobbiamo riscontrare una lon­ta­nanza umana e spirituale tra popoli pur resi più vicini (e anche confusi) dalla nuova si­tua­­zione. L’Europa ha perso - e talvolta anche rinnegato - le sue radici, che non sono ar­cheo­logia, ritorno al passato, muro dietro cui proteggersi; ma un modo di pensare e di vi­ve­re che esprime uomini, donne e comunità fondate in qualcosa di verace e duraturo. Nel Novecento i Paesi europei, anche allora ammalati di nazionalismo, sono andati alla guerra degli uni contro gli altri. Quanti dolori e quante vite perdute! Oggi siamo in un’al­tra stagione: la cultura del vivere per sé conduce all’egoismo nazionale e locale, all’as­senza di visioni. Ma, a forza di vivere per sé, l’uomo muore; si spegne un paese, una co­mu­nità, una nazione. E così l’Europa rischia il congedo dalla storia. Il mondo, invece, ha bisogno dell’Europa, del suo umanesimo, della sua forza ragionevole, della sua ca­pa­cità di mediazione e di dialogo, della sua tradizionale accoglienza, delle sue risorse, del­la sua intraprendenza economica, della sua cultura; ha bisogno di quell’ordine spiri­tua­le ed etico che costituisce la ricchezza più autentica del nostro vecchio continente». Nelle parole del Presule non poteva mancare un riferimento alla situazione locale dopo le ferite del terremoto. «Con il tempo, la pazien­za, l’impegno e l’onestà – ha detto il Presidente della Conferenza episcopale umbra - tutto ciò che è crollato può ritornare a vivere. E dal genio di Bene­detto dobbiamo imparare sempre di nuovo a “edificare”, cioè a costruire essendo coscienti che ogni azione, per essere tale, deve avere in sé l’idea di un bene comune verso cui ten­de­re. È lo stile e il contenuto della “ricostruzione” alla quale tutti aneliamo. Perché queste vallate, questa gente vuole vivere! Non vuole essere accompagnata dolce­men­te alla morte, che si manifesta nello spopolamento delle frazioni, nella precarietà del la­voro, nell’incertezza della ripresa del turismo; chiede di essere messa in grado di ritrova­re una vita dignitosa e sicura, facendo ritorno alle proprie case, ritrovando i monumenti della cultura e della fede, recuperando quel patrimonio di relazioni che rende la vita buona e fe­conda. Lo chiediamo ai vari Presidenti del Consiglio, Ministri e Sottosegretari, Parlamen­ta­ri italiani ed europei, che in questi quasi tre anni non hanno mancato di farsi vedere a Nor­cia, con tante assicurazioni e promesse... Perché tanta gente non può godere il calore della propria casa, il cui recupero continua ad es­sere un problema apparentemente senza soluzione? Perché tante pratiche che potreb­be­ro e dovrebbero essere risolte celermente si perdono nei meandri della burocrazia, ge­ne­ran­do scoraggiamento e irritazione nelle generazioni più giovani e rassegnazione in quel­le più anziane? Perché non è stato ancora ripristinato l’accesso ai cimiteri, dove le persone conservano la memoria dei loro cari? Perché i nostri ragazzi disabili, con genitori e as­si­stenti, sono costretti a raccogliersi in un container per trascorrere qualche ora in se­re­ni­tà ed armonia? Perché i lavori di sgombero delle macerie a San Benedetto si sono inter­rotti, a Santa Maria non sono iniziati, a San Salvatore si sono conclusi e tutto si è fermato, a Sant’Eutizio non possono procedere per la mancata messa in sicurezza della montagna sovrastante? Perché la politica continua a proporre le consuete contrapposizioni, frutto del­le diversità di appartenenza e della volontà di primeggiare sempre e comunque? Perché tan­ti devono ricevere per carità ciò che sarebbe loro dovuto per giustizia?». Mons. Boccardo è comunque consapevole che «non è recriminando e moltiplicando segnalazioni e proteste che si potrà uscire da que­sto che sembra ormai essere diventato un vicolo cieco. È solo con il concorso genero­so e intelligente di tutti - Istituzioni nazionali, regionali e locali, Associazioni di categoria, Co­­munanze e Pro-loco, comunità civile ed ecclesiale, singoli e gruppi - che potremo vera­mente “ricostruire”. A cominciare da un tessuto sociale fatto di umanità, di coerenza e di onestà, di reciproco aiuto ed accoglienza, di mutuo perdono, di ci­vi­le e cristiana solidarietà. Vorrei dunque che da questa piazza di San Benedetto il grido di tanti, che il Vescovo rac­co­glie e fa suo, giungesse fino ai cosiddetti “palazzi del potere” e scuotesse la coscienza e sti­molasse la responsabilità di chi li abita: non di continua propaganda elettorale abbiamo bisogno, non di visite ufficiali e proclami altisonanti, ma di risposte veloci ed efficaci, di sem­plificazione delle procedure, di soluzioni concrete ai diversi problemi, soprattutto di ge­sti eloquenti che restituiscano a queste popolazioni fiducia e speranza».



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