Per il terzo anno consecutivo la festa liturgica di S. Benedetto, il 21
marzo, è stata celebrata nella centrale piazza di Norcia, di fianco alla
basilica natale del Patrono d’Europa sbriciolatasi a causa della violenta
scossa di terremoto del 30 ottobre 2016 e dinanzi alla statua in marmo del
padre del monachesimo occidentale rimasta invece integra. La liturgia
eucaristica è stata presieduta dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato
Boccardo e concelebrata da don Marco Rufini arciprete di Norcia, don Luciano
Avenati parroco dell’Abbazia di S. Eutizio in Preci, don Davide Tononi parroco in
solido di Norcia e dagli altri presbiteri che svolgono il loro servizio nella
terra di Benedetto. Hanno assistito alla celebrazione quattro monaci
benedettini di Norcia, tra cui il priore padre Benedetto Nivakoff. Nutrita la
presenza delle autorità civili e militari, tra cui il presidente della Giunta
regionale dell’Umbria Catiuscia Marini, il sindaco di Norcia Nicola Alemanno,
quello di Spoleto Umberto de Augustinis e altri primi cittadini del territorio.
Prima della Messa c’è stato il Corteo storico di S. Benedetto, riproposto per
intero dopo i terremoti del 2016: rappresentanti delle Guaite della Città e dei
Castelli (le attuali frazioni) di Norcia hanno reso omaggio, in abiti
tradizionali, alle autorità religiose e civili e hanno reso omaggio a S. Benedetto
con l’offerta di un cero.
Molti i fedeli che si sono riuniti in preghiera e che hanno chiesto a S.
Benedetto di continuare a parlare al cuore delle persone della Valnerina ferite
dai sismi del 2016, di ricordare che la vita è un dono e un impegno nonostante
le sofferenze causate dal terremoto e da una ricostruzione che procede a
rilento. Presente anche una delegazione della Polonia, Paese dove quest’anno
(28 febbraio – 4 marzo) la terra di S. Benedetto, ossia le comunità di Norcia,
Subiaco e Cassino, hanno portato la “Fiaccola
benedettina pro pace et Europa una”.
Il primo pensiero dell’omelia di mons. Boccardo è stato per l’Europa «aggredita
dal cancro dei populismi e dei nazionalismi sempre risorgenti. L’insegnamento e
la testimonianza di S. Benedetto hanno cementato nel nostro Continente quell’unità
spirituale in forza della quale genti divise sul piano linguistico, etnico e
culturale avvertirono di costituire un unico popolo. Oggi però, mentre si
procede sulla strada della globalizzazione - cioè dell’unificazione virtuale,
culturale, economico-finanziaria - dobbiamo riscontrare una lontananza umana
e spirituale tra popoli pur resi più vicini (e anche confusi) dalla nuova situazione.
L’Europa ha perso - e talvolta anche rinnegato - le sue radici, che non sono archeologia,
ritorno al passato, muro dietro cui proteggersi; ma un modo di pensare e di vivere
che esprime uomini, donne e comunità fondate in qualcosa di verace e duraturo. Nel
Novecento i Paesi europei, anche allora ammalati di nazionalismo, sono andati
alla guerra degli uni contro gli altri. Quanti dolori e quante vite perdute!
Oggi siamo in un’altra stagione: la cultura del vivere per sé conduce all’egoismo
nazionale e locale, all’assenza di visioni. Ma, a forza di vivere per sé,
l’uomo muore; si spegne un paese, una comunità, una nazione. E così l’Europa
rischia il congedo dalla storia. Il mondo, invece, ha bisogno dell’Europa, del
suo umanesimo, della sua forza ragionevole, della sua capacità di mediazione
e di dialogo, della sua tradizionale accoglienza, delle sue risorse, della sua
intraprendenza economica, della sua cultura; ha bisogno di quell’ordine spirituale
ed etico che costituisce la ricchezza più autentica del nostro vecchio
continente».
Nelle parole del Presule non poteva mancare un riferimento alla situazione
locale dopo le ferite del terremoto. «Con il tempo, la pazienza, l’impegno e
l’onestà – ha detto il Presidente della Conferenza episcopale umbra - tutto ciò
che è crollato può ritornare a vivere. E dal genio di Benedetto dobbiamo
imparare sempre di nuovo a “edificare”, cioè a costruire essendo coscienti che
ogni azione, per essere tale, deve avere in sé l’idea di un bene comune verso
cui tendere. È lo stile e il contenuto della “ricostruzione” alla quale tutti
aneliamo. Perché queste vallate, questa gente vuole vivere! Non vuole essere
accompagnata dolcemente alla morte, che si manifesta nello spopolamento delle
frazioni, nella precarietà del lavoro, nell’incertezza della ripresa del
turismo; chiede di essere messa in grado di ritrovare una vita dignitosa e
sicura, facendo ritorno alle proprie case, ritrovando i monumenti della cultura
e della fede, recuperando quel patrimonio di relazioni che rende la vita buona
e feconda. Lo chiediamo ai vari Presidenti del Consiglio, Ministri e
Sottosegretari, Parlamentari italiani ed europei, che in questi quasi tre
anni non hanno mancato di farsi vedere a Norcia, con tante assicurazioni e
promesse... Perché tanta gente non può godere il calore della propria casa, il
cui recupero continua ad essere un problema apparentemente senza soluzione?
Perché tante pratiche che potrebbero e dovrebbero essere risolte celermente
si perdono nei meandri della burocrazia, generando scoraggiamento e
irritazione nelle generazioni più giovani e rassegnazione in quelle più
anziane? Perché non è stato ancora ripristinato l’accesso ai cimiteri, dove le persone
conservano la memoria dei loro cari? Perché i nostri ragazzi disabili, con
genitori e assistenti, sono costretti a raccogliersi in un container per
trascorrere qualche ora in serenità ed armonia? Perché i lavori di sgombero
delle macerie a San Benedetto si sono interrotti, a Santa Maria non sono
iniziati, a San Salvatore si sono conclusi e tutto si è fermato, a Sant’Eutizio
non possono procedere per la mancata messa in sicurezza della montagna
sovrastante? Perché la politica continua a proporre le consuete
contrapposizioni, frutto delle diversità di appartenenza e della volontà di
primeggiare sempre e comunque? Perché tanti devono ricevere per carità ciò che
sarebbe loro dovuto per giustizia?».
Mons. Boccardo è comunque consapevole che «non è recriminando e
moltiplicando segnalazioni e proteste che si potrà uscire da questo che sembra
ormai essere diventato un vicolo cieco. È solo con il concorso generoso e
intelligente di tutti - Istituzioni nazionali, regionali e locali, Associazioni
di categoria, Comunanze e Pro-loco, comunità civile ed ecclesiale, singoli e
gruppi - che potremo veramente “ricostruire”. A cominciare da un tessuto
sociale fatto di umanità, di coerenza e di onestà, di reciproco aiuto ed
accoglienza, di mutuo perdono, di civile e cristiana solidarietà. Vorrei
dunque che da questa piazza di San Benedetto il grido di tanti, che il Vescovo
raccoglie e fa suo, giungesse fino ai cosiddetti “palazzi del potere” e
scuotesse la coscienza e stimolasse la responsabilità di chi li abita: non di
continua propaganda elettorale abbiamo bisogno, non di visite ufficiali e
proclami altisonanti, ma di risposte veloci ed efficaci, di semplificazione
delle procedure, di soluzioni concrete ai diversi problemi, soprattutto di gesti
eloquenti che restituiscano a queste popolazioni fiducia e speranza».
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