«Una missione molto ben organizzata e anche
ben inserita nel territorio. Dopo quasi vent’anni di attività e di presenza, è
veramente una realtà che ha saputo non solo intercettare i bisogni dei piccoli
che sono ospitati qui, ma anche incontrare chi sul territorio fa ancora fatica,
farsi stimare per la concretezza e la mitezza degli interventi, ma anche per la
capacità di far vedere percorsi di speranza e di miglioramento, di proposta in
un paese che sta rinascendo e che si sta ricostruendo».
Il
vescovo di Gubbio, mons. Luciano Paolucci Bedini, traccia un primo bilancio
delle giornate di visita alla missione della Caritas umbra in Kosovo.
La
missione è attiva nella regione balcanica dal giugno del 1999, subito dopo la
fine della guerra e il rapido rientro della popolazione di etnia albanese dai
paesi confinanti (Albania, Macedonia e Montenegro): circa 800 mila persone che
erano scappate per sfuggire ai bombardamenti della Nato e alle violenze
dell’esercito e, soprattutto, dei gruppi paramilitari serbi.
In
quasi vent’anni di presenza, le attività del campo Caritas sono aumentate e si
sono adattate ai tempi. Il punto fermo, in tutti questi anni, è stato sempre l’impegno
della famiglia creata dal toscano Massimo Mazzali e dalla trentina Cristina
Giovanelli, intorno ai quali oggi c’è davvero una pluralità e un brulicare di
attività e di progetti.
«Quando un intervento incontra un bisogno
reale – commenta il vescovo Luciano – poi di fatto si riescono anche a concordare e a
coordinare diversi progetti e contributi. Bello il rapporto con la comunità
cristiana locale. Quella cattolica ha anche bisogno di sentire vicini i
fratelli dell’Europa, soprattutto italiani. Bello anche il modo diverso con cui
si interviene sul territorio di fronte alle varie situazioni. Quando ci si
mette al servizio degli altri, ci si accorge che si riceve sempre il doppio di
quello che si da, specie quando si parte dai più piccoli e dai più bisognosi,
come abbiamo visto in questi giorni visitando case e famiglie».
L’impegno
della missione continua ancora oggi nell’ascolto e nella vicinanza alla
popolazione, specie le famiglie più povere e bisognose, e nell’accoglienza dei
bambini orfani o con gravi problemi familiari, senza distinzioni etniche o
religiose.
Il
“cuore pulsante” di tutto questo è la casa Caritas è stata inaugurata nel 2014 nel
villaggio di Leskoc, grazie ai lavori coordinati dall’architetto Giuseppe Lepri
e al sostegno economico di tante realtà ecclesiali e imprenditoriali, come la
Umbragroup di Foligno.
Nei
locali a piano terra, oltre a magazzini e garage, ci sono due attrezzatissimi
laboratori: uno di panetteria/pasticceria e l’altro di macelleria. I
laboratori, le stalle e i campi stanno creando opportunità lavorative per i
ragazzi più grandi della casa e per altri della zona. Lo scorso anno è nata anche
una cooperativa agricola e ora il prossimo traguardo è la creazione di un
piccolo caseificio.
«Questo volontariato – spiega
don Roberto Revelant, direttore della Caritas diocesana di Gubbio – va laddove il pubblico non arriva ancora e
chissà se ci arriverà. E’ la seconda volta che vengo qui e di fronte a certe
situazioni di povertà, solitudine e depressione ti viene di chiederti “Ma come
è possibile mantenere una popolazione in questo stato?”. Ecco che la Chiesa
deve diventare segno di speranza, in modo particolare dove può esprimere
proprio quel concetto che era di don Tonino Bello, la “chiesa del grembiule”
che completa il momento eucaristico: dall’altare alla lavanda dei piedi. La
testimonianza che abbiamo “assaggiato” in questi giorni veramente ci fortifica,
perché ci fa sentire in una comunione vera, grazie alla Caritas Italiana che
nel momento dell’emergenza vera ha dato inizio a questo progetto e alle Caritas
delle diocesi umbre che continuano questo lavoro per un senso di affetto,
vicinanza e compartecipazione».
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