«In
Italia e in Europa si muore di freddo. Sono una decina le persone
morte nel continente per il freddo, e almeno due i senzatetto che
hanno perso la vita, a Milano e a Ferrara, per il gelo che ha colpito
il paese e non ha lasciato loro scampo». Lo scrive il cardinale
arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti,
presidente della Cei, nel suo ultimo articolo dal titolo “Spina nel
fianco” curato per la rubrica “Dialoghi” de Il
Settimanale de
«L’Osservatore Romano» in edicola il 2 febbraio, già
consultabile sul sito: www.osservatoreromano.va .
Il richiamo a quanti
«hanno responsabilità pubbliche» nei confronti di «questo
esercito di fantasmi».
«La
morte di un povero – evidenzia il cardinale – di solito non fa
notizia. Soprattutto a ridosso delle elezioni politiche. Eppure lo
spaccato sociale che emerge da questa realtà di emarginazione e
disperazione non può non fare sorgere qualche interrogativo in ogni
persona di buona volontà e in particolare in coloro che hanno
responsabilità pubbliche. I derelitti, gli abbandonati delle nostre
periferie, infatti, rappresentano un angolo visuale originale per
guardare il mondo in cui viviamo. Sono una sorta di spina nel fianco
della società opulenta, tra i bulimici desideri di benessere e
l’incessante avidità di possesso. Possiamo far finta che non
esistono, ma quei poveri sono sempre lì, davanti ai nostri occhi.
Nelle stazioni ferroviarie, sotto le scalinate dei centri storici,
sotto i portici delle nostre chiese. Ovunque ci sia un riparo. Queste
persone rappresentano un piccolo popolo — circa cinquantamila
secondo l’Istat, ma probabilmente sono di più — che vive ai
margini della società in condizioni di degrado assoluto. Persone che
sopravvivono come scarti umani tra i rifiuti urbani delle nostre
città. Senza dubbio sono simboli viventi delle contraddizioni di una
società che si considera matura, forte e ricca, ma che è popolata
da questo esercito di fantasmi. Fantasmi non per tutti, però. Di
queste persone si prendono infatti cura istituzioni locali e
associazioni di volontariato d’ispirazione cristiana. Dietro si
celano soprattutto storie ed esperienze di vita. Al presente di
disperazione, spesso caratterizzato da alcolismo, malattie e
solitudine si antepone in genere un passato caratterizzato da
fallimenti lavorativi e familiari. Ogni volta che infatti riusciamo
ad aprire uno squarcio nella vita di queste persone, veniamo a
conoscenza di ferite profondissime che si sono portate dietro per
anni e che gravano su di loro».
L’umanità
ferita: un’intuizione e un insegnamento di papa Francesco nei primi
cinque anni di pontificato.
«Ci
troviamo di fronte, dunque, a quell’umanità ferita a cui ha fatto
riferimento il Papa sin dall’inizio del suo magistero –
sottolinea il porporato –. Un’intuizione e un insegnamento che
assumono un significato esemplare proprio in questi giorni in cui si
celebrano i cinque anni di pontificato. Nella omelia per la messa
d’inizio del servizio papale, nella solennità di san Giuseppe,
Francesco parlò di una “vocazione del custodire” che “non
riguarda solamente noi cristiani” ma che è “semplicemente umana,
riguarda tutti”, per “custodire l’intera creazione, custodire
ogni persona, specie la più povera”».
La
vocazione del custodire è una missione sociale e culturale.
«Oggi
più che mai – sostiene Bassetti – queste parole s’incarnano
nella vita quotidiana. La vocazione del custodire, infatti, non è
solo un ideale di vita a cui tendere, ma è soprattutto un’esperienza
da vivere concretamente e che può tradursi perfino in una missione
sociale e culturale. Prendersi cura delle periferie delle nostre
città, troppo spesso caratterizzate da un’anarchia sociale
preoccupante, deve diventare un imperativo morale, prima che
politico: uno slancio in cui combinare la difesa del creato, la cura
delle città e l’impegno concreto verso i poveri».
Fornire
una risposta concreta ai problemi da cui potrà nascere la classe
dirigente del futuro.
«Solo
fornendo una risposta concreta a questi problemi irrisolti –
conclude il presidente della Cei – potrà nascere la classe
dirigente del futuro. Le periferie sono lo specchio del paese e
misurano il suo stato di salute. Proprio per questo i senzatetto
uccisi dal freddo non devono lasciarci indifferenti. Non è solo un
fatto di cronaca ma una realtà che parla all’Italia intera,
interroga profondamente e chiama a un’assunzione di responsabilità
comunitaria. È moralmente accettabile vedere una persona finire ai
margini della società dopo un fallimento, condurre una vita di
stenti in solitudine e poi morire di freddo nell’abbandono? No, non
è accettabile».
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