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  19/07/2017 20:03


Perugia: Al “Summer media camp” della Ceu don Ivan Maffeis, direttore Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e sottosegretario della Conferenza episcopale italiana (Cei). Il sacerdote: «La forza dei media sono i territori e le parrocchie sono importanti punti di osservazione-ascolto, soprattutto nel tempo della “rete”». Ai giovani partecipanti: «Non basta aprire un profilo social, occorre abitare la “rete” con testimonianze di vita»



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E’ in svolgimento a Perugia (17-22 luglio), nella “Sala San Francesco” dell’arcivescovado, il “Summer media camp” rivolto a giovani dai 18 ai 30 anni con la passione per i media ecclesiali e non solo, con laboratori full immersion in studio e in redazione e con condivisione di esperienze. L’iniziativa è stata organizzata dalla Commissione regionale per le comunicazioni sociali della Ceu su proposta del suo presule delegato, mons. Paolo Giulietti, vescovo ausiliare di Perugia-Città della Pieve. Si tratta di un corso formativo con incontri tenuti da professionisti e docenti universitari inerenti a vari ambiti della comunicazione sociale (carta stampata, radio, televisione, Internet, fotografia…) e con visite guidate ai media ecclesiali umbri (La Voce, Umbria Radio e il quotidiano onlinewww.umbriaoggi.news). Tra i relatori anche don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e sottosegretario della Conferenza episcopale italiana (Cei).

Il “Summer media camp” ha ricevuto il plauso e l’incoraggiamento del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, che ha salutato i giovani partecipanti e gli operatori dei media ecclesiali umbri il 18 luglio, in occasione della “lezione” di don Maffeis. Il direttore dell’Ufficio nazionale Cei ha offerto non pochi spunti di riflessione-approfondimento su diversi ambiti della Comunicazione della Chiesa, ricordando ai partecipanti quanto disse papa Francesco ai giornalisti, i primi ad aver dato udienza dopo la sua elezione: «Studiare tanto, essere sensibili e fare tesoro dell’esperienza».

Soffermandosi sulla necessità di un ripensamento-rilancio, nell’era della “rete”, dei media anche locali, don Maffeis è convinto che «la forza dei nostri mezzi della comunicazione sociale sono i territori e le parrocchie sono importanti punti di osservazione-ascolto per raccontare la vita delle persone. E’ una vita di affetti e di sofferenze umane e materiali, ma anche di gioie e di speranze. Si tratta di vite che vanno raccontate e un giornalista cristiano ha uno sguardo a 360 gradi della realtà e non ha paura a parlare dei problemi del lavoro, che si fa fatica a trovarlo, di povertà e miserie non solo economiche, di sanità, di scuola, di famiglia…».  Occorre, ha ribadito don Maffeis, «dare voce al territorio nella maniera più pulita e affascinante», perché, «nel tempo di facebook la Chiesa ha qualcosa che altri non hanno, il radicamento sul territorio e dando voce alla sua gente fa davvero la differenza».

Don Maffeis, rivolgendosi ai giovani del “Summer media camp”, ha detto loro: «non basta aprire un profilo social, occorre abitare la “rete” con testimonianze di vita». Tra gli esempi di quanto la “reta” riesce a comunicare in positivo, quello che ha visto protagonista la vedova del giudice Paolo Borsellino, Agnese, menzionata a Perugia da don Maffeis, forse senza volerlo, il giorno della vigilia del 25° anniversario della strage di via D’Amelio in Palermo (19 luglio 1992 - 19 luglio 2017). «Agnese Borsellino – ha raccontato il sottosegretario della Cei – voleva lasciare ai nipoti un ritratto del nonno, la parte meno conosciuta, quel nonno che andava a messa tutte le mattine prima di recarsi al lavoro...». E’ riuscita a farlo con il suo libro Ti racconterò tutte le storie che potrò, frutto di un dialogo, attraverso la “rete”, tra la stessa autrice e diverse migliaia di iscritti alla sua pagine facebook creata dal giornalista Salvo Palazzolo, coautore del libro. «Grazie alla “rete” Agnese Borsellino – ha evidenziato don Maffeis – è arrivata dappertutto nonostante la sedia a rotelle e il male che poi l’avrebbe portata alla morte». Sono tanti gli esempi, ha detto il direttore dell’Ufficio Cei avviandosi alla conclusione, che testimoniano come «la “rete” ci permette di dire la nostra, di fare memoria e cultura e questo pone domande anche alla nostra Chiesa».




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