Carissimi fratelli
nell’episcopato e nel sacerdozio di Cristo, carissimi fedeli, a
tutti voi il mio fraterno saluto in questo caro Santuario, testimone
dell’Amore Misericordioso di Dio per ogni uomo.
Nel Vangelo che
abbiamo ascoltato Gesù ci mostra il gusto per le fragilità umane,
fissa quel giovane ricco nella sua debolezza e lo ama. Quanto è
bello questo tratto umano e materno descritto dall’evangelista.
Gesù non risponde, non spiega, non dimostra, ma esce da se stesso e
con il silenzio, con lo sguardo, con il cuore annuncia il gusto per
l’umano abitando le debolezze di quel tale, educandoci alla
pazienza e all’attesa, trasfigurando se stesso e la persona che ha
dinanzi. Dio ci fissa non per giudicarci ma per amarci, per farsi
compagno di cammino con noi, per ascoltarci. A volte, forse, noi
vorremmo che lui ci parli, ma spesso lui sceglie di porsi all’ascolto
dei nostri sfoghi, vuole custodirci con il suo silenzio che è altra
cosa dal mutismo. Dio in quel momento ci sta amando! Ed in questo
mostra la sua forza! L’amore del Signore è grande e rispettoso: ci
lascia liberi, anche di voltargli le spalle, di respingere il suo
stesso amore.
E’ un dramma sempre
presente nella storia dell’uomo: scegliere dove andare, che tipo di
vita coltivare. Seguire il Signore o le ricche attrattive del mondo.
La trasmissione della fede alle nuove generazioni è sempre stato un
tema caro alla missione cristiana, ma oggi esso si è fatto
drammaticamente urgente e decisivo. “L’esperienza quotidiana e le
indagini sociologiche, pur offrendoci molteplici motivi di speranza,
sono d’altra parte implacabili nel confermarci come la dimensione
della fede sembra essere stata decisamente travolta dalla
secolarizzazione” (Rel. Fragnelli). Per le generazioni di oggi il
tema religioso non è più al centro dei loro interessi, quando
addirittura ne è completamente estraneo. Qualcosa si è non solo
“inceppato” nella trasmissione della fede, anzi, radicalmente
interrotto. Ciò è avvenuto sotto l’onda emotiva di un benessere
diffuso, senza precedenti nella storia umana, ingigantito dalle
possibilità offerte dalla tecnologia e abbinato alla convinzione che
ognuno è artefice della felicità e della riuscita della propria
vita. “La questione di fondo – è stato detto – è che il mondo
giovanile non sente più il Vangelo come qualcosa che possa
promuovere davvero la ricerca di senso né la sua stessa umanità”.
Appare esserci oggi “una distanza siderale tra come si nasce, si
cresce, si vive, e il Vangelo, che quando va bene è un testo
antico”(Rel. Fragnelli).
Come vescovi italiani
abbiamo riservato al tema dei giovani e della fede un ampio dibattito
in occasione della recente Assemblea Generale di maggio. E questa
mattina, come Chiese dell’Umbria, abbiamo iniziato una riflessione
sul tema del prossimo Sinodo dei Vescovi, che il Santo Padre ha
voluto dedicare al tema “I giovani, la fede e il discernimento
vocazione”. La volontà è quella di porre al centro dell’interesse
di tutta la comunità ecclesiale la realtà dei giovani di oggi, che
pur tra molteplici e affascinanti riflessi di speranza, sembra non
avere più o addirittura non ricercare più un rapporto con la fede e
la pratica religiosa.
Quante volte mi sono
sentito dire da qualche sacerdote: “Mi guardo intorno alla messa
domenicale, rivedo i volti dei vecchi parrocchiani, ma non ci sono
più i giovani: non vengono più”! Si tratta di una realtà
diffusa, più di quanto immaginiamo. Il problema ingigantisce se
consideriamo che non sta venendo a mancare solo la partecipazione
attiva e consapevole alla vita di comunità, ma la ricerca stessa del
sacro, la ricerca, anche intima, di Dio. Eppure il Signore invita
sempre tutti, specie i giovani, animati da ricerca e voglia di
scoprire: “Venite e vedete”!
E’ nell’età
giovanile che, insieme al travaglio interiore, sorgono nell’essere
umano le domande più impetuose e travolgenti sul senso della vita e
della realtà. Ma esse sembrano oggi ridursi alla pura riuscita umana
e sentimentale, senza più uno sguardo al trascendente, a quegli
orizzonti ultimi dove risiede il vero senso della vita. Grazie a Dio
non è ovunque e sempre così. Siamo testimoni anche di dell’impegno
di tanti giovani nella vita ecclesiale. Si tratta di scelte
consapevoli, sempre maturate dopo profonde scelte di fede, in
parrocchia o nei gruppi ecclesiali. Se i giovani sono motivati e sul
serio coinvolti, sanno rispondere con generosità.
L’apostolo Giovanni
nella sua prima lettera afferma: “Scrivo a voi, giovani, perché
avete vinto il maligno”. Se il giovane si aggrappa a Cristo, può
resistere al maligno, può farcela ad andare contro corrente per
risalire il fiume in piena. Queste assolate colline dell’Umbria ci
ricordano ancora l’avventura umana di due giovani, ricchi di beni,
baldanzosi e amanti dei successi mondani, ma anche due meravigliosi
modelli della vita cristiana, conquistata dopo aver lasciato le
effimere sicurezze umane: Francesco e Chiara. Due folli di Dio che
hanno saputo vincere il maligno e sotto la protezione della Chiesa,
hanno cambiato il mondo con la luce della fede. Contro i giovani –
ci consola l’apostolo Giovanni – il maligno non può vincere, se
in loro combatte il Forte, ossia lo stesso Cristo, tramite il suo
Spirito. L’animo dei ragazzi, mai sazio, vuole costruire ponti e
non innalzare dei muri; vuole continuare a credere nell’altro
fidandosi di lui ed affidandosi a lui. Grazie a Dio qui in Umbria, il
rilancio negli ultimi anni degli oratori parrocchiali ha portato ad
un promettente coinvolgimento di giovani nell’attività pastorale.
Nei giovani motivati
vi è la volontà di non accontentarsi, ma di stringere i denti per
arrivare dritti alla meta senza mezze misure. La loro sete di
giustizia e di verità li porta a farsi custodi gli uni degli altri,
vivendo l’amicizia e l’affettività come un caso serio della
vita. Essi desiderano cambiare il mondo, poiché, come afferma papa
Francesco nella lettera recentemente loro inviata, il loro cuore non
sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura dello
scarto né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza. Per cui,
continua il Papa, non devono aver “paura di ascoltare lo Spirito
che suggerisce scelte audaci”, improntate ad una logica di
donazione e di amore, non di morte e di emarginazione, come quella
che ha indotto molti giovani al suicidio o allo sciupio della vita,
vittime di un gioco brutale e privo di senso. Come Chiesa, dobbiamo
essere capaci di far capire che solo Dio “è capace di istruirci su
come costruire una vicenda umana degna di questo nome” (Rel.
Fragnelli). Far risplendere il “volto umano di Gesù” può
aiutare i giovani ad identificarsi con Lui e a riscoprirne
l’autenticità e la bellezza. Uscire, annunciare, abitare, educare
e trasfigurare sono le cinque vie, percorrendo le quali si può
scorgere il gusto per l’umano, quello che i giovani devono saper
riscoprire, come ci siamo detti a Firenze nel Convegno Ecclesiale
Italiano. Avere il gusto per ciò che è umano significa
appassionarsi delle fragilità altrui, facendole divenire punti di
forza e non di debolezza. Solo con lo “stare accanto” ai giovani
e camminando a fianco li si può aiutare ad aprirsi alla vita della
fede e questa è certamente una grande sfida per noi vescovi e per
tutti i sacerdoti. Il mondo ecclesiale e quello giovanile devono
sapersi incontrare e aiutare vicendevolmente per aprirsi alle “grandi
cose” che Dio continua a fare di generazione in generazione, come
ha fatto con la giovane Maria, che noi oggi invochiamo come stella
della nuova evangelizzazione, essa che ancor giovanissima, toccata
dalla grazia di Dio, trovò la forza e il coraggio per pronunciare il
sì di una adesione totale al Signore. La Vergine Maria sia il
modello per le giovani generazioni perché non si smarriscano dinanzi
ai dubbi e alle difficoltà, ma aprano il loro cuore all’amore di
Dio. Amen!
|