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  13/04/2017 13:25


Al passo del più debole. La Pasqua nel ricordo di don Mazzolari: un prete vicino agli ultimi che considerava la Chiesa una comunità e “un’ambulanza per chi cade”. A parlarne sulle colonne de «L’Osservatore Romano», in edicola oggi 13 aprile, è il Cardinale Gualtiero Bassetti



Il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti offre in questa Settimana Santa una riflessione molto attuale del Cristo crocifisso, facendo memoria di una delle Sette parole di Pasqua di don Primo Mazzolari morto 58 anni fa, il 12 aprile 1959; riflessione ospitata, con il titolo “Al passo del più debole”, sulle colonne de «L’Osservatore Romano» oggi in edicola (13 aprile) e consultabile sul sito: www.osservatoreromano.va.

            «Don Primo Mazzolari – ricorda Bassetti – è stato una di quelle grandi figure di sacerdoti che hanno popolato la Chiesa italiana nel Novecento lasciando un segno profondo. Incompreso, perseguitato, amato, il parroco di Bozzolo è stato, ed è tuttora, una testimonianza autentica di fede e un crocevia di esperienze e idee». Nel rileggere una meditazione di don Mazzolari, il porporato perugino resta colpito di come questo grande sacerdote «raccontava il Cristo crocifisso e apriva al mistero glorioso della risurrezione». Per don Mazzolari, evidenzia il cardinale, «il crocifisso “è l’offerta piena. Non si è tenuto niente, né un lembo di veste, né una goccia di sangue, né la Madre. Ha dato tutto: consummatum est”».

«Oggi si moltiplicano i crocifissi – scrive Bassetti –. I cristiani copti trucidati nelle chiese in Egitto; le vittime inermi di un terrorismo fanatico che uccide a Stoccolma come in Nigeria; i bambini, le donne e gli uomini senza nome che perdono la vita nella disperata ricerca di una terra che li accolga. Sono tutti morti innocenti e crocifissi: sono gli “sconfitti della vita” come li chiamava Giovanni Paolo II. Per tutti costoro, Gesù morendo in croce e risorgendo, scriveva Mazzolari, ha tracciato “un inno di gloria avviato dalle Mani di una madre”. E in questo amore totale e gratuito si può cogliere la speranza. “L’Amore non è colui che dà - continuava - ma Colui che viene” e che può nascere in una stalla e morire sul Calvario “perché mi ama”».

Don Mazzolari fu definito da Paolo VI un «profeta», ma, come ricorda lo stesso Bassetti, «Mazzolari è stato molte cose assieme: il saggista e il testimone, il cantore della speranza e l’amico della povera gente, il pastore d’anime e, soprattutto, il parroco. Il parroco di Bozzolo. Il sacerdote che esprimeva un’idea di Chiesa che si sintetizzava nel concetto di comunità. Una comunità di uomini e donne al cui centro risiedeva Cristo. Lontanissimo da lui risiedevano le strutture e ogni forma di potere. Unico punto di partenza erano infatti i poveri. “Non avrei mai pensato - diceva don Mazzolari - che in terra cristiana, con un Vangelo che incomincia con ‘Beati i poveri’, il parlar bene dei poveri infastidisse tanta gente, che pure è gente di cuore e di elemosina”. Parole che sono ancora oggi attualissime. La povertà è una questione profondissima che investe la fede e che si riflette anche nel modo di vivere la Chiesa».

Avviandosi alla conclusione, il cardinale Bassetti si sofferma sulla «cura degli ultimi» di don Mazzolari, che «è uno snodo decisivo del suo essere Chiesa. La parrocchia, infatti, era per lui una “comunità che non può avere il passo delle élite” ma che, al contrario, cammina col passo del più debole. La parrocchia ha “un passo cadenzato e stanco, misurato sugli ultimi più che sui primi”. In altre parole, per Mazzolari la parrocchia, o meglio, la Chiesa, anticipando l’ospedale da campo evocato da Papa Francesco, non è altro che “l’ambulanza per chi cade”».




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