La
lettera apostolica Misericordia et misera, con cui si conclude l'Anno
Santo si fonda «sulla necessità urgente di costruire una cultura della
misericordia» che «non può essere banalizzata da una superficiale lettura del
perdono inteso come sanatoria», ma deve basarsi, come ha scritto il Papa, su cinque
capisaldi: la «riscoperta dell’incontro con gli altri», la «preghiera assidua»,
la «docile apertura all’azione dello Spirito», la «familiarità con la vita dei
santi» e «la vicinanza concreta ai poveri». Utilizza queste parole il cardinale
arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti nel suo ultimo
editoriale pubblicato su «L'Osservatore Romano» in edicola il 30 novembre, già
consultabile sul sito:www.osservatoreromano.va . Alla
base della riflessione dell'arcivescovo viene evidenziato, prima di tutto, un
forte legame tra il magistero di Francesco e quello dei suoi predecessori. Con
Paolo VI quando si prefigge di costruire una nuova «civiltà dell’amore» che non
è il frutto di un diffuso «buonismo» ma è la consapevolezza che l'uomo moderno
vive «un’esistenza mercificata, individualista e nichilista». Con Giovanni
Paolo II quando ricorda, nell'enciclica Dives in Misericordia, che il
perdono «non è mai indulgenza verso il male» e che l'amore rivelato dal Cristo
trova «la più concreta espressione nei riguardi di coloro che soffrono», dei
«poveri», degli «oppressi» e dei «peccatori». La
dimensione sociale della misericordia si rivela, secondo Bassetti, soprattutto
in due aspetti: l'evangelizzazione verso i lontani e la cura per i poveri.
«Come non coglierne la portata evangelizzatrice che oggi, più che mai – scrive
il presule perugino –, si riferisce a platee sterminate di uomini e donne in
tutto il mondo, lontanissimi da ogni riferimento spirituale e sofferenti per un
peccato di cui non riescono più a percepire il senso? Uomini e donne a cui non
è possibile mettere il vestitino del buon cristiano se prima non si va alla
radice della loro sofferenza esistenziale: la rottura, tutta umana, di quel
rapporto d’amore che lega ogni essere umano al creatore». Inoltre,
occorre avere cura dei poveri, scrive Bassetti, per «scacciare l’indifferenza e
l’ipocrisia» del mondo contemporaneo verso coloro che rappresentano uno
«scandalo» per la «stanca e invecchiata società opulenta». Per questo motivo
«ha un’importanza cruciale la decisione di istituire la giornata mondiale dei
poveri». Una giornata, sottolinea il prelato, che potrà essere una preziosa
occasione perché ci aiuterà non solo a riflettere ma anche a costruire «tante
nuove opere, frutto della grazia».
Un
esempio? Quello di Giorgio La Pira quando si trovò di fronte «il dramma degli
sfrattati: famiglie con bambini senza più una casa». Non riuscendo a trovare
una soluzione per questi disperati, «La Pira riuscì ad avvalersi di una vecchia
legge che dava la possibilità di requisire delle case inutilizzate» e disse:
«C’è qui in giuoco la sostanza stessa della grazia e dell’Evangelo! Se c’è uno
che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli
accorgimenti che l’amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella
sofferenza sia o diminuita o lenita».
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