versione accessibile ::
Primo piano
  29/11/2016 19:49


Il cardinale Gualtiero Bassetti sulle colonne de «L’Osservatore Romano» offre una riflessione sulla dimensione sociale della misericordia. Nessun spazio al buonismo e al perdono come sanatoria. La dimensione sociale della misericordia si rivela, secondo Bassetti, soprattutto in due aspetti: l'evangelizzazione verso i lontani e la cura per i poveri.



Clicca sulla foto per ingrandirla !

La lettera apostolica Misericordia et misera, con cui si conclude l'Anno Santo si fonda «sulla necessità urgente di costruire una cultura della misericordia» che «non può essere banalizzata da una superficiale lettura del perdono inteso come sanatoria», ma deve basarsi, come ha scritto il Papa, su cinque capisaldi: la «riscoperta dell’incontro con gli altri», la «preghiera assidua», la «docile apertura all’azione dello Spirito», la «familiarità con la vita dei santi» e «la vicinanza concreta ai poveri». Utilizza queste parole il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti nel suo ultimo editoriale pubblicato su «L'Osservatore Romano» in edicola il 30 novembre, già consultabile sul sito:www.osservatoreromano.va . 

Alla base della riflessione dell'arcivescovo viene evidenziato, prima di tutto, un forte legame tra il magistero di Francesco e quello dei suoi predecessori. Con Paolo VI quando si prefigge di costruire una nuova «civiltà dell’amore» che non è il frutto di un diffuso «buonismo» ma è la consapevolezza che l'uomo moderno vive «un’esistenza mercificata, individualista e nichilista». Con Giovanni Paolo II quando ricorda, nell'enciclica Dives in Misericordia, che il perdono «non è mai indulgenza verso il male» e che l'amore rivelato dal Cristo trova «la più concreta espressione nei riguardi di coloro che soffrono», dei «poveri», degli «oppressi» e dei «peccatori».

La dimensione sociale della misericordia si rivela, secondo Bassetti, soprattutto in due aspetti: l'evangelizzazione verso i lontani e la cura per i poveri. «Come non coglierne la portata evangelizzatrice che oggi, più che mai – scrive il presule perugino –, si riferisce a platee sterminate di uomini e donne in tutto il mondo, lontanissimi da ogni riferimento spirituale e sofferenti per un peccato di cui non riescono più a percepire il senso? Uomini e donne a cui non è possibile mettere il vestitino del buon cristiano se prima non si va alla radice della loro sofferenza esistenziale: la rottura, tutta umana, di quel rapporto d’amore che lega ogni essere umano al creatore».

Inoltre, occorre avere cura dei poveri, scrive Bassetti, per «scacciare l’indifferenza e l’ipocrisia» del mondo contemporaneo verso coloro che rappresentano uno «scandalo» per la «stanca e invecchiata società opulenta». Per questo motivo «ha un’importanza cruciale la decisione di istituire la giornata mondiale dei poveri». Una giornata, sottolinea il prelato, che potrà essere una preziosa occasione perché ci aiuterà non solo a riflettere ma anche a costruire «tante nuove opere, frutto della grazia». 

Un esempio? Quello di Giorgio La Pira quando si trovò di fronte «il dramma degli sfrattati: famiglie con bambini senza più una casa». Non riuscendo a trovare una soluzione per questi disperati, «La Pira riuscì ad avvalersi di una vecchia legge che dava la possibilità di requisire delle case inutilizzate» e disse: «C’è qui in giuoco la sostanza stessa della grazia e dell’Evangelo! Se c’è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli accorgimenti che l’amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita».




« Archivio »